antonella gallo stazione rogers ARCHITETTURA, CULTURA E POLITICA
dialoghi fra discipline a Stazione Rogers
2014/2015
incontri, esposizioni, audiovisivi, dibattiti

domenica 22 marzo, ore 11

Antonella Gallo
LA STRADA È UN TEATRO
Teatro Oficina di Lina Bo Bardi a S. Paolo Brasile

L’Oficina non è un teatro tradizionale con platea, palcoscenico e sipario; l’Oficina è una strada lunga cinquanta metri e larga nove che corre tra le mura rimaste in piedi di un vecchio edificio teatrale. La compagnia del Teatro Oficina - roccaforte della resistenza contro il regime militare (il suo logo è un’incudine) e fucina permanente di sperimentazione e ricerca di nuovi linguaggi per il teatro: si insedia al n. 520 di rua Jaceguai, quartiere di Bixiga, a San Paolo del Brasile, nel 1961.

L’edificio, costruito negli anni ’20, viene parzialmente distrutto da un incendio nel 1966. Nel 1967 le persecuzioni dei militari e le difficoltà economiche inducono la compagnia a interrompere temporaneamente l’attività. Nello stesso periodo il regista cinematografico Glauber Rocha presenta Lina Bo Bardi a José Celso Martinez Corrèa, autore, regista e fondatore del gruppo. Una visione anticonformista condivisa li unisce intellettualmente e esteticamente. Successivamente Lina Bo Bardi progetta le scenografie per alcune delle più innovative e urticanti produzioni allestite dalla compagnia durante gli anni della dittatura militare: Nella Giungla delle Città (1969), adattamento da Bertold Brecht; Gracias, señor (1972), da frammenti di testi Oswald de Andrade, autore modernista e fondatore del Movimento Antropofagico (1928); e il film Prata Palomares di Andre Farias (1970). Il progetto di recupero del teatro nasce in parte proprio dalla “architettura scenica” disegnata dalla Bo Bardi per Na Selva das Cidades che presupponeva l’abbattimento dell’organizzazione spaziale preesistente. Comincia ad affiorare in quel momento l’idea di concepire fisicamente il teatro come una strada che attraversando l’edificio e collegando Rua Jaceguai a Rua Japurà, si trasformi in calle del quartiere. Un ‘sambodromo’ dalla vertiginosa fluidità spaziale dove il confine tra attori, pubblico, tecnici, tra platea e palco, tra arte e vita, tra città e scena, tra reale e immaginario, tra politica e estetica, si elide.

“Il n ostro rituale quotidiano di comunione con il pubblico continuerà ad essere percepito come l’oro, una cosa rara, e un lusso, perché il nostro teatro si rivolge al futuro,
con l’ambizione utopica di essere un arte come il calcio, ossia uno sport di massa”.
José Celso Martinez Corrêa

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