Solare, cordialissimo, sensibile, DEVID CECCONI è uno dei baritoni emergenti e di maggiore spicco della nuova generazione, a livello internazionale. Sprigiona un’aura di grande simpatia ed il suo raccontarsi evidenzia la grande professionalità e lo studio con cui affronta ogni personaggio. Toscano grintoso, unisce al perfezionismo di ricerca, che lo contraddistingue, una profonda vena poetica che impreziosisce non solo l’Artista ma anche l’Uomo.
Sin da giovanissimo ha amato la musica ed il canto lirico; così racconta gli inizi della sua carriera: “La grande svolta è arrivata inaspettatamente durante quello che sarebbe dovuto essere un semplice weekend organizzato dalla mia compagna in una cittadina laziale (Rieti) dove lei trascorreva le vacanze da bambina.
Con questa “scusa” mi sono ritrovato iscritto al concorso Battistini. Non dimenticherò mai quella mattina in cui eravamo in piazza, seduti al bar a fare colazione; si sentivano dei vocalizzi provenire da una Chiesa… Ho partecipato e l’ho vinto!!! Con l’aria “Cortigiani vil razza dannata” dal “Rigoletto”. Incredulo, meravigliato e felice lessi anche un piccolo trafiletto sulle ultime pagine del magazine “L’Opera”, a firma del critico Gualerzi: “Questa edizione del Concorso Battistini sarà certamente ricordata per la vittoria di un giovane baritono fiorentino ancora incomprensibilmente sconosciuto al pubblico dei grandi Teatri”. In seguito un agente mi mise in contatto con il M° Oren, feci un’audizione e, soltanto quattro giorni dopo, fui chiamato per debuttare in “Rigoletto” al Teatro Verdi di Trieste”.
In pochi anni , proprio da quel debutto (2006), ha conquistato non solo le platee italiane ed europee ma anche quelle di Israele, India e Giappone. (“Nabucco”: New Israeli Opera – Masada – per l’inaugurazione del Festival del Teatro di Tel Aviv; “Butterfly” al National Center of Performing Arts – Mumbay; “Roberto Devereux”, con la Bayerische Staatoper, al Bunka Kaikan – Tokyo). Ha cantato, tra gli altri, sotto la direzione di maestri quali: D. Oren, B. Bartoletti, J. Wildner, A. Scarano, J. Kovatchev, C. Montanaro, C. Rovaris, G. Carella, S. Ranzani e R. Palumbo.
Dopo il grande, personale successo come Renato ne “Un ballo in maschera”, che ha inaugurato la stagione lirica 2014 del Teatro Verdi di Trieste, ora ti appresti ad interpretare il generale romano Ezio nell’ “Attila” che vi andrà in scena il 23 maggio. Opera giovanile di Verdi ma alquanto impegnativa vocalmente. Che cosa ti affascina maggiormente del personaggio?
IL ruolo di Ezio potrebbe sembrare apparentemente scontato, non avendo le molteplici sfaccettature emotive che si possono ritrovare in un Verdi più maturo, ossia in un “Rigoletto”, ad esempio, che risulta essere interiormente e visivamente complesso.
Si può pensare che questo generale romano, condottiero eroico, che trama e tradisce il suo imperatore, non presenti una grande nobiltà di spirito in questo gesto ma, se si considera la consapevolezza che egli ha della debolezza di costui, sapendo che mai potrà vincere contro Attila, è chiaro che non può fare altro che aggirare il problema in modo diplomatico poichè ciò che conta è salvare Roma e l’Italia, anche a costo della propria vita. Vogliamo un personaggio più valoroso e nobile di così?
La parte scenica di Ezio viene aiutata sia dalla tessitura impervia che da accenti maschi e virili, come possiamo sentire nel primo duetto Ezio-Attila, seguito dall’inconfondibile romanza verdiana “dagli immortali vertici”, per giungere poi alla cabaletta, talmente acuta, da rasentare le tessiture tenorili.
È proprio per tali ragioni che Ezio, a mio parere, è un personaggio dai forti riscontri emotivi e di grande soddisfazione vocale .
Il tuo repertorio spazia fra diversi compositori; mi sembra però che G. Verdi abbia un ruolo predominante. Il debutto con “Rigoletto”, proprio a Trieste, con la direzione di Oren, ha segnato una svolta rilevante nella tua vita…
Il grande Teatro Verdi di Trieste è stato importantissimo per la mia carriera. Rappresenta per me una sorta di porta fortuna, infatti è proprio qui, come raccontavo in esordio, che ho debuttato il mio primo ruolo come “Rigoletto”, nel 2006. È sempre un grande piacere e, soprattutto, un grande onore poter cantare per un pubblico di classe e competente come quello triestino.
E’ noto che sin da ragazzo hai sempre avuto una grande passione per la musica ed il canto lirico ma le strade della vita, inizialmente, ti hanno portato a dedicarti al commercio, come tutti i tuoi familiari. Quanto ed in che modo ti è stata utile questa attività nel momento in cui hai deciso di dedicarti esclusivamente al canto?
Mi ha insegnato a capire facilmente le persone e ciò che vogliono prima ancora che mi venga chiesto un qualcosa… infatti direttori d’orchestra e registi trovano sempre una totale comprensione da parte mia! Nel momento in cui ho deciso di seguire la mia grande passione, ho fatto una sorta di salto nel buio, io lo chiamo: gettare il cappello in aria e poi si stà a vedere!!! È ovvio che bisogna fare grandi sacrifici e rischiare se si vogliono ottenere dei risultati di alto livello, dal punto di vista professionale. Ho dovuto iniziare da zero, dedicare ogni giorno allo studio ed alla esasperata ricerca della “perfezione” poichè è questo che si pretende da noi cantanti professionisti ed è giusto che sia così. Quando si iniziano a raccogliere i frutti del duro lavoro e, soprattutto, si è soddisfatti del risultato raggiunto allora, e solo allora, è come vivere in un sogno.
Che cosa si intende esattamente con la dizione “baritono verdiano”? Vi possono essere delle difficoltà ad affrontare, ad esempio, Puccini o Giordano e Leoncavallo?
Per spiegare la differenza tra Baritono Verdiano e Pucciniano posso semplicemente farti l’esempio di due sportivi: un velocista ed un maratoneta. È chiaro che ognuno di loro può fare ciò che fa l’altro, ma sicuramente la loro fisicità rende meglio al maratoneta per la lunga resistenza ed al velocista nella breve distanza.
Ciò accade anche per la voce, la tessitura verdiana richiede una vocalità che galleggia sulle grandi frasi di tessitura, appunto, medio alta, che riesca a fraseggiare con morbidezza senza indurire. Certamente ci vuole la tecnica ma anche una natura, se così si può dire, “verdiana”. Altre vocalità danno il massimo del rendimento con fraseggi su estensioni diverse, meno legati, ecc. Non è solo un problema di tecnica ma anche di scelta di repertorio poichè serve a conservare a lungo la carriera di un artista.
Zeffirelli, Lavia, Menegatti sono soltanto alcuni dei grandi registi con cui hai lavorato. Quanta e quale importanza ha, per un cantante lirico, la direzione registica?
Ho lavorato con molti registi più o meno famosi; ognuno di loro mi ha regalato un qualcosa… idee, emozioni, intenzioni nuove, facendomi crescere artisticamente.
La regia è, ovviamente, molto importante ma nella lirica non avviene come nella prosa dove un regista può lavorare per mesi ad una produzione che continuerà per anni. Per ciò che attiene all’opera i tempi sono ridotti; anche il regista migliore deve impostare tutta la compagnia di canto nel minor tempo possibile ed ottenere un risultato ottimale, magari sorvolando su di alcuni particolari scenici! E’ proprio in questo modo che l’artista fa la differenza, facendo tesoro delle proprie esperienze passate.
Quali i tuoi progetti futuri?
Sarò “Rigoletto”, in Brasile; poi canterò in “Nabucco” e nuovamente “Rigoletto” a Lipsia.
Affermava Miguel de Cervantes: “Signora, dove c’è musica non può esservi nulla di cattivo”.
MARIA LUISA RUNTI
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