Gen
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Superbo NABUCCO al Verdi di Trieste

Fondazione Teatro Lirico G. Verdi

di Maria Luisa Runti

Teatro affollato e ripetuti, calorosissimi applausi, anche a scena aperta, hanno decretato il successo di “Nabucco” andato in scena al Teatro Verdi di Trieste il 29 u.s. L’allestimento è stato coprodotto dal “Verdi” con i Teatri di Padova e di Bassano del Grappa e con la regia di Stefano Poda ripresa, in quest’occasione, da Paolo Giani Cei.
Interessante la storia del libretto, scritto da Temistocle Solera, la cui prima fonte fu la Bibbia, nella traduzione di Giovanni Deodati ma anche il dramma francese “Nabuchodonosor” di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornu e “Il ballo storico Nabuccodonosor” di Antonio Cortesi. Frutto della fantasia di Solera fu invece l’amore non corrisposto di Abigaille per Ismaele, che non trova riscontro in alcuna delle suddette fonti. Terza opera di Giuseppe Verdi, che la dedicò ad Adelaide d’Austria: «Posto in musica e umilmente dedicato a S.A.R.I. la Serenissima Arciduchessa Adelaide d’Austria il 31 marzo 1842 da Giuseppe Verdi.», “Nabucco” debuttò il 9 marzo 1842 alla Scala di Milano con successo trionfale.
Giampaolo Bisanti ha impresso all’Orchestra della Fondazione lirica triestina una convincente direzione e concertazione, sin dalla sinfonia iniziale, dove fraseggio ritmico e timbrico ben preludono al canto, sottolineando le molteplici e complesse atmosfere dell’opera. Da sottolineare la raffinatezza degli archi e dei fiati unitamente alla timbrica massiccia degli ottoni. Una lettura di livello, improntata a contrasti chiaroscurali e sonorità corpose, attenta e coinvolgente, molto ben coadiuvata da tutta la compagnia di canto e dal coro, diretto da Alberto Macrì.
Devid Cecconi è stato un Nabucco superbo, imponente. Vocalità sempre ben timbrata, di ampio registro, con coloriture e toni di vibrata intensità. La sua voce calda e rotonda riesce non solo a dare peso e corpo alle note ma è anche in grado di eseguire magnificamente i piani. Tessitura tecnica, eleganza vocale, frasi tenute e raffinato fraseggio hanno contraddistinto il suo Nabucco di cui ha anche magnificamente reso le difficilissime sfaccettature psicologiche del personaggio con preziosa introspezione interpretativa. Magnifici i brani “Tremin gli insani ” e “Chi mi toglie il regio scettro” sino all’accorato afflato del “Dio di Giuda” reso da grande interprete.
Dimitra Theodossiou, nel difficile ruolo di Abigaille, non sempre riesce a coniugare aggressività e lirismo: la veemenza interpretativa di alcuni passaggi e la sofferta dolcezza nei piani e nei filati, alla ricerca di coloriture e tinte drammatiche. Vi è una certa propensione all’urlato nei registri acuti. Buoni i recitativi ed il pathos interpretativo nello struggente finale. Molto buona la prova di Marina Comparato che ha tratteggiato la sua Fenena con voce morbida e ben calibrata, dal timbro brunito. Ernesto Morillo, nel ruolo di Zaccaria, non è riuscito a rendere appieno l’ ampiezza e l’ estensione vocale che caratterizzano il canto del gran Sacerdote degli Ebrei, privando un po’ di pathos e nobiltà il suo personaggio. Mikheil Sheshaberidze ha risolto dignitosamente con buon timbro il ruolo di Ismaele. Completano degnamente la compagnia di canto Pietro Toscano (Gran Sacerdote), Alessandro D’Acrissa (Abdallo) e Lucia Casbarra (Anna). Raffinata ed eterogenea la regia di Stefano Poda (ripresa da Paolo Giani Cei) a cui si devono anche scene, costumi e luci. Pur facendo muovere i personaggi in un’atmosfera volutamente cupa riesce ad evidenziare i piani contrapposti di narrazione e memoria con raffinata eleganza e notevole coinvolgimento emotivo. Alcuni momenti di gestualità del coro ricordano la pittura di Zoran Music, dedicata alle vittime dell’Olocausto. Innovativa l’idea del coro steso a terra nel famosissimo “Va’ pensiero”, quasi a significare che le voci si levano dal ventre della terra. Angosciosa, magnifica e possente la scenografia, di forte sapore pittorico-scultoreo con i corpi-manichini appesi al soffitto, stilizzate silohuettes di ciò che fummo e di ciò che saremo in una dimensione atemporale rispetto all’azione. Di effetto le luci convergenti al centro della scena, in grado di sottolineare, anche con effetti speciali di fumi e passaggio di ombre, la drammaticità del racconto. Non convincono affatto i costumi, alquanto impersonali, giocati nei toni del nero e grigio scuro con uno spruzzo di bianco per le giacche di alcuni coristi, del tutto disarmonico rispetto all’insieme. Fiori, applausi e molteplici chiamate alla ribalta hanno coronato il successo della serata.

Si replica sino all’8 febbraio.

MARIA LUISA RUNTI
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Fondazione Teatro Lirico G. Verdi

 
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