alcool giovani«La nostra società ha tagliato gli estremi: dei giovani non si occupa più nessuno, mentre la saggezza degli anziani viene castrata nelle case di riposo. In mezzo restiamo che noi che presto raggiungeremo le case di riposo e avremmo dei figli inutili». Lo scrittore Pino Roveredo, che conosce da vicino il fenomeno del disagio giovanile ma non solo, traccia uno scenario apocalittico. La storia racconta dal Piccolo di una madre che ha scoperto per casa la figlia alcolista a 16 anni è a suo modo emblematica. «Sono anni che raccolgo le testimonianze di questi ragazzi che mi dicono: “Noi siamo una generazione morta”». Quello dell’alcolismo adolescenziale che fenomeno è? E un fenomeno generazionale. Non riguarda solo Trieste. E la dimensione dei nostri ragazzi quello di credere che l’unico divertimento sia eccedere nell’alcol. Sembra che non ci sia altro. E in effetti non c’è altro. Non c’è nessuno spazio per questi ragazzi. Di chi è la responsabilità? Sicuramente degli adulti. Questo non creare spazi e non immaginare diversi è una responsabilità degli adulti. Quello che poi produce il dramma della storia raccontata dal Piccolo. L’unico svago, l’unica fuga spesso è la discoteca. Lo sa qual è una delle domande che io faccio ai ragazzi nelle scuole?. Qualè? Voi vi immaginate una discoteca che non vende alcolici? Il90%risponde di no.Èuna discoteca senza senso. Il divertimento viene ormai associato all’abuso alcolico. E un fatto culturale. Spesso è anche l’unico modoper starecon gli altri… Sì. L’unico modo soprattutto per non stare assieme agli altri. Sono eccessi che portano a tristezze e depressioni incredibili. Ci si annulla nell’alcol… Perché non si riesce a rappresentarsi, a raccontarsi, anche nelle sconfitte, negli sbagli, nella vita quotidiana. Il vostro titolo è emblematico (“Mia figlia 16enne, un’alcolizzata scoperta per caso”, ndr)… In che senso? La casualità. I genitori sono sempre gli ultimi ad accorgersi. Un po’ forse anche perché, e lo dico senza spirito polemico, non conoscono bene i figli. Forse non vogliono guardare in faccia il loro fallimento… Sì, certo. Questo è il problema. Quando io vado nelle scuole faccio uscire gli insegnanti e racconto ai ragazzi di essere stato in carcere, di aver stato alcolizzato, di aver sbagliato. Lì improvvisamente i ragazzi si fidano e raccontano cose incredibili. Cose che non raccontano a case e che non raccontano a scuola. È l’assenza la colpa maggiore dei genitori? Sì, l’assenza soprattutto affettiva. L’incapacità di raccogliere gli sbagli dei propri figli. Cosa si può fare? Il proibizionismopuòessere utile? No. È una “cagata”. Serve solo a stimolare la curiosità dei ragazzi. El’idea del bere inmodoresponsabile? Una stupidaggine. Non esiste. I più fragili comunque cadono. Finisco intrappolati. Comeè successo me. Eallora? Bisogna creare degli spazi alternativi che facciano capire che il divertimento non è bere. Spazi di ritrovo, magari culturali. Le racconto un piccolo aneddoto… Racconti. Quando nelle scuole chiedo ai ragazzi cosa farebbero se fossero il sindaco, sa qual è la risposta che mi danno? No. Un centro commerciale. È spesso l’unico posto di ritrovo per i giovani. Davvero triste. Desolante direi.
(da Il Piccolo)