1-orfeo-ed-euridice-polverelli-forte Nonostante la lunga assenza dalle scene del Teatro Verdi di Trieste il suo debutto del 5 marzo u.s. ha avuto un’accoglienza non troppo calorosa nonostante la bravura della compagnia di canto. L’opera, composta da Christoph Willibald Gluck, su libretto di Ranieri de’ Calzabigi, con cori e danze (assenti nella produzione triestina) e rappresentata per la prima volta a Vienna il 5 ottobre 1762 al Burghtheater, appartiene al genere dell’azione teatrale, poiché imperniata su di un soggetto mitologico: il mito di Orfeo, Elvio Giudici ha affermato nel suo lavoro sulla discografia operistica: “I rifacimenti, le revisioni e le contaminazioni subite dall’Orfeo ed Euridice (una delle poche opere del Settecento a essere stata regolarmente eseguita nei duecento anni che la separano da noi) sono tra i più complessi e numerosi di tutta la storia del teatro lirico.”
Le versioni storicamente più significative sono sostanzialmente sei, di cui quattro derivanti da effettive messe in scena teatrali (Versione originale di Vienna (1762), di Parma (1769), di Parigi (1774), di Hector Berlioz (Parigi, 1859), e due da edizioni a stampa, poi largamente utilizzate dai teatri di tutto il mondo (Dörfell (Lipsia, 1866), Ricordi (Milano, 1889).

4-filippo-maria-bressan Filippo Maria Bressan ha diretto l’Orchestra della Fondazione Lirica triestina senza grandi varietà dinamiche a parte l’incalzante e serrata introduzione al canto. Una lettura scevra da particolari sfumature coloristiche e ritmiche che non sempre è riuscita ad esaltare al meglio la partitura. Appropriata la prova del coro, diretto da Paolo Vero. Laura Polverelli, nel ruolo di Orfeo, ha tratteggiato il suo personaggio con molteplici nuances interpretative sottolineando con vigore pathos e malinconia, dolcezza e struggimento. Voce bella e ben emessa con armoniche coloriture, sicura negli acuti ma di maggior pregio nei recitativi. Cinzia Forte, Euridicice, ha dimostrato un significativo squillo nel settore acuto difettando, a volte, nel volume. Buona ed equilibrata la tessitura vocale. Interessante la prova di Milica Ilic nel ruolo di Amore, vocalmente attenta nel fraseggio e persuasiva nei recitati, con accenti incisivi anche attorialmente.
La bella, poetica ed introspettiva nota di regia di Giulio Ciabatti non riesce, in realtà, a rendere in palcoscenico la profondità dei suoi
pensieri. Ne risulta una regia di maniera che tenta si sopperire alla mancanza della danza con la gestualità del coro, senza riuscirvi. Non hanno affatto convinto le scene ed i costumi di Aurelio Barbato. Un mixage, in relazione alle scene, di reminescenze pittoriche (K. Malevič) e “dejà vu” di pirandelliana memoria, nei toni del bianco e nero seppure impreziositi dalle luci spruzzate di colore di Claudio Schmid. Ombrelli magrittiani in esordio e costumi anonimi per interpreti e coro, nel tentativo di trasportali quasi a foggia verista in un ulteriore mixage di stili cui i “teli” bianchi sul braccio e sul capo di alcuni coristi, nel finale, non hanno certo giovato. Bello ed a tono il costume di Euridice. Applausi finali hanno coronato la serata.

Si replica sino al 15 marzo.

MARIA LUISA RUNTI
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