francesco demundo opera Il più grande inciampo della storia dell’arte del Novecento corrisponde all’avventura dada. Nell’entrare in questo flusso di coscienza sperimentale si vede che molte cose prima impensabili al pensiero egemone sono poi diventate possibili. In primis le regole del caos e del gioco che hanno fermato ogni perplessità, ogni dubbio, ogni interrogazione. In questo modo, la testimonianza di Marcel Duchamp che ha saputo spostare l’ago della bilancia dal fare al pensare, ha lasciato tracce profonde che hanno poi sfiorato anche le sponde della pop art (pensiamo agli assemblaggi e ai combine-paintings di Rauschenberg e Johns), mentre oggi, toccano i fantasmagorici teatri della realtà di Demundo. Infatti, è nella tecnica del collage e del ready-made rettificato che hanno trovato humus fertile le radici della sua opera, ovvero in quel fondamento della coscienza in cui la storia diviene soltanto ineluttabile presenza dell’essere, dell’essere qui e ora, senza possibilità di vero giudizio.

D’altra parte, la tecnica del collage, iniziata già in ambito cubista, con bene altre motivazioni, e fin dal suo apparire si è configurata come la tecnica più radicale dell’inizio secolo, pari come portata all’uso della fotocopiatrice nell’ambito della progettazione grafica prima dell’avvento del computer.

È nella tattilità dei materiali impiegati che si constata come in tempi di devastazione delle speranze, di annunci apocalittici e di cronache d’incombente catastrofe, la sua opera rimanga testimonianza e argine della storia. Nel recupero del relitto, dello scarto, e nella casualità di questi incontri, non c’è un vero godimento estetico, ma un muro e un limite da intendere come coscienza divorante di abisso e precipizio. Il messaggio dell’autore non è dentro le cose, è nelle cose, e ambiguamente le occupa e le respinge.

Come scrive Enzo Santese, l’autore “interpreta la ricerca come una continua ricognizione nel passato dove preleva argomenti e motivi per l’innesco di una riflessione critica sulla contemporaneità; per questo ama il profumo delle botteghe da rigattieri e l’aria dei banchetti antiquari. Qui, senza un’idea d’acquisto determinata, può lasciarsi sedurre da presenze le più diverse, capaci di avviare un processo creativo dove intervento pittorico, uso del collage, inserimento di materiali, creano una situazione visiva in cui si installa il senso problematico della vita”.

La serata, è stata realizzata sotto l’egida della Provincia di Trieste e con la collaborazione dell’Associazione Juliet. La mostra termina il 30 ottobre, con orario di visita dalle 16.00 alle 18.00.
Trieste, all’interno del comprensorio del parco di san Giovanni, via E.Weiss n. 15

Per ulteriori info: 393 9706657.


mostra, arte, Francesco Demundo, Parco di San Giovanni