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Teatro esaurito, 13 chiamate, intensi ed entusiastici applausi a scena aperta ed al finale hanno suggellato lo straordinario successo dell’opera Verdiana, diretta da Paolo J. Carbone, andata in scena il 6 u.s. al Teatro “Giovanni da Udine” di Udine, nell’ambito della collaborazione con la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, dove ha debuttato lo scorso 21 marzo. L’ allestimento, di proprietà della Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, nell’attuale ricostruzione scenografica curata da Benito Leonori, con i costumi di Giancarlo Colis e le coreografie di Valentina Escobar, ha presentato una delle più apprezzate messe in scena ideate dallo scenografo Josef Svoboda, LA TRAVIATA “DEGLI SPECCHI” appunto, vincitrice nel 1992 del prestigioso Premio Abbiati, massimo riconoscimento assegnato dall’ Associazione Nazionale Critici Musicali. L’allestimento fa ormai parte della storia  del  teatro contemporaneo e venne concepito per gli spazi dello Sferisterio di Macerata (1992) consolidando la collaborazione fra Svoboda ed il regista Henning Brockhaus, che ne firma anche le luci. Svoboda fu un “pioniere” della scena virtuale, innovatore del teatro lirico e di prosa, attraverso l’impiego delle tecniche più avanzate di illuminazione, giochi di luce e controluce il cui contenuto scenografico prende forma nelle elaborazioni spaziali con visioni metaforiche e simboliche, immagini visive e mentali da sogno. La magia dello spettacolo inizia sin dalle prime note: l’enorme specchio appoggiato a terra si alza lentamente e si illumina rivelando un sipario teatrale che sembra nascere dal nulla, un racconto, una memoria che si aprono, si sdoppiano, si moltiplicano trasportando lo spettatore in una dimensione onirico fantastica dove le singole scene sono dipinte su grandi teli disposti sul palcoscenico come enormi tappeti che, con gli arredi, si riflettono creando efficaci suggestioni pittoriche e visive. I personaggi stessi che, in scena, vivono il loro dramma, possono essere visti come “creature volanti”, in diverse posture ed atteggiamenti riflessi. Come un immenso fiore la scena si apre, sboccia, fiorisce, appassisce e muore quando muore Violetta, quando orchestra, direttore e l’interno tutto del teatro si riflettono sullo sfondo ed il pubblico, quasi inconsciamente, si ritrova in scena partecipe egli stesso della tragedia che si è appena consumata. Il teatro nel teatro, di Pirandelliana memoria.

La regia di Brockhaus è ancora attualissima nella sua geniale efficacia in quanto scardina la consueta visione dell’opera, per restituirla alle autentiche intenzioni di Verdi, rendendola scarna, realistica, incisiva e non edulcorata. Ispirata dal modello epico Brechtiano, sottolinea e fa comprendere allo spettatore gli stati d’animo dei personaggi ed il loro processo evolutivo. Superba la direzione e concertazione di Paolo J. Carbone che ha guidato l’orchestra in un continuo crescendo emozionale ed armonico portando l’esecuzione ad ottimi livelli espressivi, sottolineando con maestria ogni tonalità della partitura, evidenziandone sfumature e fraseggi, purezza di linea e di colori, ritmi ed improvvise accentuazioni drammatiche. Pur nel rigoroso rispetto dello spartito, Carbone ha trovato una chiave di lettura essenziale e di grande efficacia che ha reso più contemporaneo il messaggio verdiano e che la compagnia di canto ha recepito con grande forza interpretativa. Ekaterina Bakanova, anche a livello attoriale, ha magnificamente impersonato la sua Violetta dandone un’aura viva ed attuale, scevra da leziosità, intima, travagliata, molto introspettiva e, a volte, quasi sognante ma anche sensuale, piena di grinta e “rabbiosa” sofferenza. Splendida voce, ricca di coloriture, bel timbro corposo, dove ad un ampio e robusto registro vocale negli acuti si alternano delicati filati e raffinati recitativi. Straordinaria, nel finale, l’aria “Gran Dio! Morir sì giovane”, resa con travolgente forza interpretativa e pathos. Alessandro Scotto di Luzio è stato un ottimo Alfredo. Voce generosa, calda, con un intenso fraseggio espressivo e colori armonici che spaziano in un ampio registro vocale molto ben calibrato e modulato. Di grande efficacia ed eleganza l’aria “Ogni suo aver tal femmina” dove rivela anche notevoli doti attoriali. Angelo Veccia, nel ruolo di Germont, ha cercato di delineare un personaggio credibile ed intenso, non riuscendovi appieno per coloriture, intensità timbrica e modulazione di fraseggio che non hanno ben reso le sfaccettature psicologiche del personaggio. Buone le parti di fianco fra cui spiccano Letizia Del Magro nel ruolo di Flora Bervoix, Christian Starinieri in quello del Barone Douphol e Francesco Musinu (Dottor Grenvil). Completano la compagnia di canto Anna Bordignon (Annina), Alessandro d’Acrissa (Gastone), Dario Giorgelè (Il Marchese d’Obigny), Dax Velenich (Giuseppe), Hektor Leka (domestico di Flora) e Giovanni Palumbo (un Commissionario). Di buon livello la prova del Coro del “Teatro Verdi” istruito da Paolo Vero. Eleganti e dinamiche le coreografie di Valentina Escobar. Un pò “kitsch” i costumi delle masse, di maniera gli altri, sebbene ispirati alla pittura di Boldini, ideati da Giancarlo Colis.

In tal modo spiegava Svoboda la sua ricerca ed il suo lavoro:
“Lo scopo è di creare immagini intere, ma nello stesso tempo di disintegrare la superficie di proiezione ricomponendola poi in un modo diverso e rendendo evidente anche il rilievo”. (J. Svoboda: “I segreti dello spazio teatrale”). 

MARIA LUISA RUNTI
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Teatro Verdi, opera, recensione, Maria Luisa Runti