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alabarda triesteL’unica cosa certa è che l’alabarda di Trieste, la reliquia conservata nel tesoro della cattedrale di San Giusto, non è un’alabarda. Il resto è fitto mistero. In pochi lo sanno, ma possiede caratteristiche peculiari e per taluni aspetti misteriose. Lo hanno scoperto gli studiosi dei due Dipartimenti di Scienze chimiche e di Scienze geografiche e storiche dell’Università di Trieste, che hanno analizzato l’antico oggetto divenuto nel tempo simbolo della città.
Tanto per cominciare, secondo gli scienziati, il reperto non assomiglia neppure lontanamente a uno strumento d’offesa. La «vera» alabarda, infatti, è un’arma bianca a punta, tagliente da entrambi i lati, montata su un’asta e munita di una corta scure. L’emblema cittadino invece presenta un corpo centrale che - anziché essere lungo e acuminato - risulta più corto degli altri raffi e quindi non può essere utilizzato per l’affondo.
Sgomberato il campo da questo primo equivoco, ne restano in piedi molti altri, per lo più affastellati dal mito. E proprio nell’intento di scindere realtà da leggenda gli studiosi dell’Ateneo, col patrocinio della Diocesi di Trieste, si sono addentrati nell’identificazione delle origini del «Signum Sancti Sergii de Trigesto». Sì, perché l’alabarda, contrariamente alla comune opinione, non è dedicata a San Giusto, patrono della città, bensì al tribuno Sergio della XIII Legione Apollinare, che qui si convertì al cristianesimo. Scoperto, venne richiamato alla corte imperiale e congedandosi dai compagni di fede promise loro un segno per annunciarne la morte, che prevedeva imminente. Difatti, dopo la decapitazione a Rosapha in Siria, tradizione vuole che un’alabarda cadde dal cielo nel foro cittadino. Ebbene, attraverso particolari dispositivi, gli studiosi hanno esaminato il «Signum» approdando a una verità insospettabile: la reliquia è certamente più antica rispetto a quanto ipotizzato dagli storici e la sua fattura avrebbe origini indiane.
Tutto è iniziato dalla volontà di «smascherare» alcune delle leggende metropolitane più diffuse sull’alabarda, ad esempio il fatto che sia stata prodotta con materiale meteoritico. «Il primo mistero del Signum - ha spiegato la ricercatrice triestina Mirta Sibilia, 30 anni e laurea in Chimica - è che denota delle proprietà macroscopiche particolari: risulta fatta di ferro ma non presenta traccia di ruggine, nonostante la datazione antica del reperto. Dal ritrovamento di una moneta coniata dal vescovo Volrico De Portis sappiamo che la prima immagine dell’alabarda risale al periodo compreso tra il 1234 e il 1255. Ma stando alle analisi termografiche e ai raggi X noi supponiamo che il metallo sia stato prodotto almeno mille anni prima, più o meno attorno al periodo in cui visse il tribuno Sergio, martirizzato nel 313 dopo Cristo».
Oltre a possedere caratteristiche di inossidabilità e resistenza a operazioni di doratura e argentatura non presenti in manufatti occidentali medievali o antecedenti (cosa che l’accomuna a reperti orientali antichi, il più famoso dei quali è l’inossidabile colonna di ferro di Delhi, in India) l’alabarda è priva di saldature: «Verosimilmente - ha chiarito la ricercatrice - è stata quindi realizzata da un unico pezzo di ferro, poi sbrecciato e lavorato per martellature. Questo cosa significa? Che l’origine dell’alabarda non è occidentale. Tecniche così avanzate non erano infatti note nella cultura occidentale in quel periodo, bensì in quella orientale e in particolare in quella indiana. Questa circostanza, tra l’altro, spiegherebbe l’inossidabilità del Signum: tale scuola di produzione dei metalli arricchiva i manufatti di fosforo garantendo così una migliore fattura. Non è detto comunque che sia stata prodotta proprio in India, ma certamente è stata realizzata da una scuola in possesso di tali tecniche».
Arcano anche il simbolo dell’alabarda: «Intanto - ha aggiunto Sibilia - il Signum non ha le fattezze di un’arma poiché il corpo centrale è più corto e quindi non può essere usato per colpire. Somiglia più al pistillo di un giglio che alla punta di una lancia. Particolare non trascurabile: il ”signum”, tra le varie accezioni di significato, identificava il simbolo delle coorti delle diverse Legioni romane. E stando al mito Sergio, prima di essere santo, era un legionario».
Un’indagine effettuata in Medio Oriente dal gruppo di Chimica dell’ambiente e dei Beni culturali dell’Università ha dimostrato come simboli molto simili all’alabarda fossero presenti in Palestina nell’antichità e come il giglio di Galilea, la cui stilizzazione riconduce al «Signum» di San Sergio, fosse addirittura il simbolo del Tempio di Gerusalemme. Non solo: fonti bibliografiche accertano che fin da tempi precristiani la metallurgia del Medio Oriente ricorreva a pani di ferro speciale provenienti dall’India per la forgiatura d’armi di pregio, fornendo un’ulteriore supporto all’ipotesi dell’origine orientale della lancia.
Questo, dunque, quanto scoperto. Va detto che molto altro ancora potrebbe essere accertato, ma ci vorrebbero ulteriori fondi. Lo ha affermato il ricercatore Pierluigi Barbieri: «Stiamo cercando una sponsorizzazione per eseguire le analisi di superficie che permetterebbero di caratterizzare l’alabarda con metodi spettroscopici non invasivi». Cosa non semplice, vista la delicatezza del misterioso reperto.