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La famigerata Web-Tax passa alla Camera

web-tax L’Italia, primo e unico caso in Europa, si avvicina sempre di più alla web tax. Scatterà l’obbligo di acquisto dei servizi online, sia di e-commerce che di pubblicità, solo da operatori con partita Iva italiana. È quanto prevede la proposta approvata in commissione Bilancio della Camera nel corso dell’esame della legge di stabilità, che ha come primo firmatario Edoardo Fanucci (Pd) ed è fortemente sostenuta dal presidente stesso della commissione, Francesco Boccia (Pd). Ma non solo perché è stato approvato anche l’emendamento presentato da Stefania Covello (Pd) che punta, invece, a tassare i profitti non sulla base dei costi sostenuti dalla controllata italiana ma sulla base di altri parametri che rispecchino effettivamente il fatturato.

L’obbligo della partita Iva
Ma andiamo con ordine. L’emendamento, sottoscritto anche da Sel e da Svp, prevede che «i soggetti passivi che intendano acquistare servizi online, sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana».

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In questo modo i volumi di vendita realizzati in Italia dalle big del web come Google, Amazon, Facebook e Apple (più volte accusate di elusione dai governi europei) sarebbero anche fatturati nel nostro Paese, con il conseguente gettito, mentre oggi vengono fatturati in altri paesi con regimi fiscali agevolati (uno per tutti, l’Irlanda).

L’obbligo scatterebbe non solo per i servizi di e-commerce (diretto o indiretto) ma anche per l’acquisto dei link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motorori di ricerca visualizzabili sul territorio italiano.

In pratica, l’inserzione potrebbe essere venduta, come detto, solo da imprese con regolare partita Iva italiana. Una soluzione per arginare il fatto che il traffico pubblicitario italiano viene sempre più acquistato all’estero da operatori stranieri. Con questi ultimi che, a loro, volta vendono dall’estero. Così l’operazione di compravendita è del tutto sconosciuta al Fisco italiano, che quindi non vede entrare neanche un euro di tassazione.

L’obbligo a cui punta l’emendamento riguarderebbe, comunque, le transazioni tra imprese o comunque tra operatori economici sogetti passivi Iva (gli scambi business to business) e consentirebbe di far pagare l’imposta sul valore aggiunto nel nostro Paese.

La proposta era stata accantonata nella giornata di giovedì 12 dicembre in attesa della riformulazione. Il governo, con il viceministro Stefano Fassina si è rimesso all’aula, mentre dubbi li hanno sollevati Giampaolo Galli e Marco Causi del Pd, timorosi che questa norma possa andare in contrasto con le normative europee.

I profitti da tassare e la tracciabilità
La commissione ha approvato anche l’emendamento di Stefania Covello (Pd) sia per la parte relativa alla tassazione dei profitti delle controllate italiane delle Internet company sia per la parte in cui mira alla tracciabilità dell’acquisto di pubblicità online e di servizi «ad essa ausiliari», che «deve essere effettuato esclusivamente mediante bonifico bancario o postale dal quale devono risultare anche i dati identificativi del beneficiario».

L’emendamento Covello parte dalla considerazione che le operazioni infragruppo relative alla pubblicità online i costi sostenuti dalla società italiana possano essere poco rilevanti per le strutture organizzative ridotte sia in termini di lavoratori occupati che di mezzi impiegati. Per questo, si punta a individuare indicatori diversi. Come? Una chance - già prevista nella norma - è quella di una procedura concordata con l’agenzia delle Entrate (il ruling) per definire in modo più aderente alla realtà gli effettivi profitti ottenuti dalla controllata italiana dalla vendita di pubblicità online.

A questo si aggiunge poi l’obbligo dell’utilizzo del bonifico bancario o postale, dal quale devono risultare i dati del beneficiario, o di altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni e a veicolare la partita Iva del beneficiario per l’acquisto di servizi di pubblicità on-line e di servizi ausiliari.
I rischi potenziali
Sull’impianto normativo che punta a tassare le web company straniere si è espressa nelle ultime settimane l’American Chamber of Commerce in Italy, rappresentanza della “Confindustria” americana, secondo cui «è evidente la contraddizione tra le finalità di questi emendamenti, dal vago sapore protezionista, rispetto agli scopi di apertura ed incremento dell’attrattività del Paese contenuti nel piano Destinazione Italia. Da un lato si chiede agli investitori internazionali di scommettere sull’Italia, dall’altro, invece, si innalzano nuove barriere per difendere presunti interessi nazionali».

Inoltre, ha avvertito AmCham «come sottolineato da numerosi esperti del settore, tale norma, se approvata, potrebbe esporre l’Italia ad una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea, per possibili violazioni dei trattati e delle normative Ue sui princìpi del mercato unico e della libera circolazione dei servizi». (da Il Sole24Ore)

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