pahor 101 Era il luglio 1920. Aveva sette anni Boris Pahor, quando a Trieste, dietro la piazza Caserma appena ribattezzata Oberdan, si levarono alte volute di fumo. Era stato incendiato il Narodni Dom, centro di cultura e aggregazione degli sloveni. Un episodio che Francesco Giunta, in seguito segretario nazionale del Pnf, esaltò come «prima scintilla della rivoluzione fascista e inizio del suo programma elettorale». Più ancora della tragica esperienza del Lager, è stata questa violenta negazione dell’identità a segnare Pahor, docente di letteratura italiana e scrittore conosciuto prima in Europa che in Italia. I suoi libri, oltre una trentina, sono stati tradotti in dieci lingue e per lui si è parlato anche di premio Nobel.
Quest’anno ha trascorso il 101/o compleanno a Lubiana, il 26 agosto, al secondo di due convegni per “istituzionalizzare la scuola letteraria slovena a Trieste”.
Il primo, il 19 agosto al Caffè San Marco nel capoluogo giuliano, il secondo, appunto, “il giorno del mio compleanno, a Lubiana”, come ha sintetizzato in un’intervista. Da Radenci ripercorre la tradizione pluricentenaria degli autori sloveni di Trieste: da Primoz Trubar a Pietro Bonomo, a Srecko Kosovel, a Vladimir Bartol.


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