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Calorosissimi, prolungati applausi hanno accolto, il 22/4, lo spettacolo di danza su musiche di C. Debussy ed I. Stravinskij andato in scena al Teatro Verdi di Trieste con le coreografie di Edward Clug ed il corpo di ballo del Teatro Nazionale croato di Zagabria (in cooperazione con la Biennale di Musica di Zagabria). In programma il dittico “Six èpigraphes antiques” e “En blanc et noir” di Claude Debussy ed il balletto “Le Sacre du printemps” di Igor Stravinskij. Presenti le maggiori autorità della Repubblica di Croazia accolte dal Sovrintendente del Teatro Verdi, Claudio Orazi: il vice Ministro alla Cultura croato Berislav Sipus, il Console reggente croato Emina El Majzoub e consorte; il Responsabile della Biennale Musica di Zagabria Krešimir Seletkovic, Dubravka Vrgoc recentemente incaricata a  Sovrintendente del Teatro Nazionale croato di Zagabria ed infine il presidente delle Federazioni croate a Trieste Damir Murkovich. Fra le autorità locali: il Prefetto di Trieste Adelaide Garufi e  l’Assessore regionale alla Cultura Gianni Torrenti.

6 edward clug Afferma Edward Clug nelle sue note di presentazione alla coreografia: “Un incontro fra Stravinskij e Debussy, nella medesima sera, sullo stesso palcoscenico, con un unico stile coreografico. Questo è il significato di uno specifico dialogo tra due geniali musicisti del XX° secolo vissuti nello stesso periodo, che si incontravano ed ispiravano a vicenda”.
In apertura il dittico “Six èpigraphes antiques” e “En blanc et noir” di Claude Debussy. Il suo fraseggio musicale è costruito con piccole immagini guizzanti in continuo rinnovamento, indipendenti tra loro grazie all’appoggio ad un linguaggio armonico non vincolante e composto di accorgimenti extratonali volti all’ambiguità, come la scala esatonale. La sua musica è stringata, una sorta di sintesi tra estetica classica e modernismo, grazie ad un contrappunto innovativo ed a dinamiche molto curate. Privilegia il colore timbrico alla linea melodica, sceglie sonorità lievi e brillanti, elabora una scrittura ritmica estremamente complessa ma dall’andamento fluttuante e sospeso che “reinventa” il suono del pianoforte.
Immediata la magia che sprigionano i primi movimenti danzanti nel silenzio della sala. Gli iniziali accordi del pianoforte vedono i danzatori muoversi come fossero fiori e piante trascinate dal vento, portamenti sincroni, rigorosi, forti e lievi ad un tempo che, con il crescendo della musica suggeriscono gestualità di Bauschiana memoria che ritroveremo, in parte, anche nella coreografia del balletto di Stravinskij. Clug, nel confronto tra musica e movenze, riesce a creare un perfetto racconto di fusioni emotive espresse dalla perfetta e sincrona armonia dei danzatori. Quasi impercettibile il passaggio dall’interpretazione delle “ Six èpigraphes antiques” alla suite “En blanc et noir” che, stilisticamente, prosegue e completa il discorso coreografico delle epigrafi con grande eleganza ed efficacia. Magnifico lo “snodarsi” dei corpi, il narrare all’unisono, tra abbandono e tensione muscolare. Scarne ed essenziali le scene di Marko Japeli, minimali i costumi di Leo Kulaš, interessanti e di effetto le luci curate dallo stesso Clug.
Sono la peculiarità ed originalità coreografica de “Le Sacre du printemps” di Stravinskij ad incantare maggiormente il pubblico. Il balletto, considerato l’apoteosi del “periodo fauve” del compositore, mette in scena un rito pagano di inizio primavera proprio della Russia antica. Il compositore russo reinventò la forma del balletto ed incorporò nel suo linguaggio musicale culture e tradizioni tra loro lontane, nel tempo e nello spazio. Di grande interesse l’ uso sapiente ed innovativo del silenzio, che raggiunge l’apice proprio nella “Le Sacre du printemps”. Clug, per la sua “Sacre” si è ispirato alla coreografia di Nijnsky che ne ideò la prima rappresentazione, avvenuta a Parigi nel 1913, reinterpretando in modo innovativo la sua forza scenica, compattezza ed ermetismo per avere, ancor oggi, un significato di avanguardia. Geniale il suo introdurre in scena l’elemento acqua che, come egli stesso afferma, rappresenta la sorgente di vita, un viaggio di purificazione e centro di rinnovamento. Corpi e facce dipinti di bianco, suggestione che ci ricorda il Butoh giapponese, hanno scandito magnificamente il racconto passando da una gestualità lirica, ed a volte quasi accorata, ad un efficace ed angoscioso crescendo di violenza. Corpi marmorei, anime fantasma, un unisono di armonia gestuale ed espressiva che, nei momenti di dialogo ed interazione con l’acqua, raggiungono vette di assoluto, drammatico lirismo poetico. Ottima la prova di tutto il corpo di ballo del Teatro Nazionale croato di Zagabria e delle due ballerine soliste Edina Plicanic’ ed Atina Tanovic’. Fascino atemporale per le scene, sempre di Marko Japeli e per il costumi di Leo Kulaš, magnifiche e suggestive le luci di Tomaz Premzl.
Sul podio il M° Mladen Tarbuk che ha diretto l’ Orchestra del Teatro Lirico Giuseppe Verdi con rigore interpretativo e coloritura armonica, sottolineando il colloquiare fra musica e danza. Magnifica l’ouverture in cui primeggia la voce del fagotto e l’ostinato dove archi e corni mettono in risalto con intensità l’azione scenica.

Affermava Claude Debussy: “ La musica è un misterioso accordo fra la natura e la nostra immaginazione”.

Si replica sino al 27 aprile.

MARIA LUISA RUNTI
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