letto ospedale Riceviamo la seguente lettera, che provvediamo a pubblicare per intero:
Lettera ricevuta da Francesco Russo: “Ho sempre pensato che la recente proposta dell’Amministrazione comunale in merito alle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT) potesse rappresentare l’occasione per un dialogo fruttuoso - anche fra credenti e non credenti - sui temi delicati ed importanti del senso della vita e della morte, della libertà personale e della responsabilità condivisa all’interno di una comunità”. Così il Senatore triestino Francesco Russo.

“Per questo - prosegue Russo - dispiacciono i modi e i toni della campagna avviata, nelle ultime settimane, dal direttore del settimanale Vita Nuova, che è apparsa ai più maggiormente orientata ad intervenire con posizioni di parte politica contro il Sindaco e la Giunta comunale di Trieste che non a favorire un pacato e oggettivo dibattito. Va detto, in particolare, che chi confonde il tema delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento con l’ipotesi di una qualsivoglia opzione a favore dell’eutanasia rischia di apparire in mala fede o di dimostrare uno scarsissimo approfondimento di un argomento che merita, invece, grande attenzione e un competente rispetto.

A cancellare ogni residuo fraintendimento vorrei ancora una volta ribadire che le DAT previste dall’Amministrazione comunale rappresentano soltanto un’opportunità offerta ai cittadini che potranno liberamente scegliere se avvalersene o meno. Uno strumento capace di segnalare, per quanto possibile, la volontà della persona rispetto a futuri trattamenti sanitari e di offrire utili informazioni al medico curante che rimane comunque vincolato a null’altro che non sia la propria coscienza e competenza professionale.

L’ordinamento (e le diverse fonti richiamate nella delibera della Giunta, dalla Costituzione alla Convenzione di Oviedo, al parere del Comitato Nazionale di Bioetica) è molto chiaro in proposito: le DAT non possono in alcun modo rappresentare un’anticamera dell’eutanasia così come rimane fermo il “no” ad ogni forma di accanimento terapeutico.

Rimane, dunque, lo spazio per valorizzare il rapporto fra il paziente, la sua famiglia, il medico curante e, per chi crede, il padre spirituale. È uno spazio di umanità e prossimità da salvaguardare, allontanando la tentazione di riporre un’eccessiva fede nella capacità di dar risposte della tecnica o della legge. Uno spazio, infine, da tener sgombro da ogni polemica di parte e, per quanto riguarda la comunità ecclesiale - conclude Russo - da sviluppare prima nei luoghi di confronto più adeguati e poi sulle pagine dei giornali”.

Francesco Russo


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