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HIROSHI SUGIMOTO - Un anacronistico pessimista

hiroshi sugimoto

Intervista esclusiva al grande fotografo giapponese

di Maria Luisa Runti

L’Artista giapponese, tra i più importanti Fotografi del panorama contemporaneo internazionale, spiega tutte le tematiche del suo lavoro, dai primi Dioramas del 1975 alle serie Theaters, Seascapes, Portraits (di forte impatto emotivo, fra gli altri, Enrico VIII con le sue mogli e la Regina Vittoria), Conceptual Forms, fino agli inediti Lightning Field e Talbot. La sua opera, concettuale e poetica, esplora le nozioni di tempo, luce, spazio, movimento e spirito oltre alla natura della realtà stessa. Egli unisce l’idea-pensiero con la seduzione estetica ponendo un’estrema attenzione formale per le immagini, pur continuando a considerare la fotografia come un mero strumento per tradurre visivamente le idee. Sugimoto non manca però di sottolineare che solo con l’ausilio di una tecnica molto ben padroneggiata si possono esprimere i concetti più profondi. Le emozioni che si provano davanti alle sue fotografie derivano soprattutto dall’archetipo che le ha provocate. I “Dioramas” sono scene di vita primitiva, scattati nei musei di storia naturale, che colpiscono ed affascinano il visitatore, abituato ad associare un certo tipo di fotografia documentaria alla riproduzione della realtà; la serie intitolata “Theaters”, è stata realizzata in cinema-teatri americani degli anni ’20-’30 (Radio City Music Hall - New York, Metropolitan Theatre - Los Angeles). Qui l’Artista ha cercato di condensare il “corso del tempo e percezione dello spazio” in un singolo momento, uniformando il tempo di esposizione a quello della durata della proiezione di un film. Ancora il tempo protagonista della serie sugli orizzonti marini, “Seascapes”, dove acqua ed aria si incontrano al centro dell’immagine, al fine di ricreare la primitiva, assoluta visione del mare da parte di antichi esploratori.
L’ho incontrato dopo la sua prima grande mostra italiana, nei saloni del Centro d’Arte Contemporanea di Villa Manin di Passariano (Codroipo, Udine). Gli occhi scuri, intelligentissimi, mi scrutano indagatori e maliziosi… mi chiede se sono d’accordo di fare uno spuntino, prima di iniziare… ovviamente acconsento e la nostra chiacchierata inizia con un sorriso soddisfatto.

Le tue opere contengono e comunicano allo spettatore l’idea che le guida, il concetto che le illumina e che in esse trova la sua espressione. Tu non ami la tecnologia digitale e ciò mi sembra piuttosto interessante! Per quale motivo?

Non rifiuto il digitale, talvolta adopero questa tecnologia e ci lavoro molto bene, ma non è adatta alle mie foto che, in digitale appunto, non si possono realizzare altrettanto adeguatamente. Nemmeno la stampa ha la stessa resa. Per ottenere delle buone foto ricorro alla tecnica del secolo scorso… allo stile analogico con cui si potevano conseguire degli ottimi risultati. Il digitale è troppo facile per la maggior parte delle persone che non hanno né tecnica né obiettivi da raggiungere; è solo disegno, progetto fine a se stesso.

Tu combini l’arte concettuale con la seduzione estetica pensando alla fotografia come ad un mero strumento per tradurre le tue idee in immagine visiva. Lavori alle stesse tematiche anche per più anni consecutivi, come per i “seascapes” (panorami marini). Qual è la molla che ti fa scattare l’ispirazione?

Ho centinaia di idee nel cervello e le elaboro per molti anni, a volte anche 20 o 30! Devo pensare alla tecnica per qualche anno ed al modo con cui realizzarle; molte di esse sono idee quasi impossibili perché tecnicamente difficili ma giorno dopo giorno risolvo i problemi sino ad arrivare ad uno standard qualitativo. Ci sono degli esperimenti che precedono il lavoro vero e proprio e che non mostro mai alla gente, poi nasce l’opera da realizzare…

Possiamo dire, come scrivono, che nelle tue opere desideri fissare il tempo con forme immutabili o scene fisse in modo che la bellezza non venga erosa dal suo scorrere?

Il tempo erode ogni cosa e la distrugge, io non cerco di fissare nulla perché ogni cosa è talmente transitoria… cerco di visualizzare il concetto del suo trascorrere in modo che la fotografia possa mantenerne viva la memoria. I “seascapes” rappresentano la natura 35-45.000 milioni di anni fa… queste informazioni esistevano ancor prima delle vita umana e di qualsiasi forma di vita. Ho trovato queste immagini in un Museo di Pittsburg. Non ricordo com’ero 35.000 milioni di anni fa ma penso non ci fosse vita umana… le mie fotografie sono un metodo per far pensare alla gente ciò che si suppone accadesse in quelle ere. Le anemoni marine, i calamari… sono molto più vecchi di noi!

Il tuo concetto di “realtà fotografica”…

È una realtà che rappresenta l’immaginazione umana ed io la fisso con la fotografia. Biologi, scienziati, archeologi hanno immaginato parte di queste rappresentazioni che qui si vedono fotografate. Nessuno può sapere se ciò fosse o meno reale poiché ogni scienziato aveva la sua visione della realtà, che può essere anche flessibile ed elastica.

napoleon La tua arte esplora i parametri “tempo-luce-spazio” oltre alla natura della realtà stessa. Li ritieni del medesimo peso tecnico-concettuale?

Sono inscindibili ed hanno, per me, lo stesso valore.

Mi piacerebbe saperne qualcosa sui tuoi recenti esperimenti artistici come la fusione della fotografia con l’architettura ed il teatro Noh. Ho letto che hai creato un’installazione sonora in collaborazione con Ikeda Ryoji…

Ikeda è uno degli artisti più creativi in Giappone. Con lui ho creato un’installazione sonora per uno spettacolo di teatro Noh, al Mori Art Museum di Tokio, senza palcoscenico; bastava essere circondanti dal suono, molto minimalista. Suoni che variavano fra frequenze molto alte o molto basse, quasi al limite di portata dell’orecchio umano, che a volte non potevano essere percepiti e fra loro il nulla, in un’atmosfera molto cupa, una performance psicologica.

In uno studio milanese hai presentato una selezione delle tue opere dedicata alle “forme concettuali”. Puoi parlarmi dei modelli tridimensionali metallici e di gesso che ti hanno ispirato?

Sono modelli del XIX secolo che ho trovato nel Museo dell’Università di Tokio e che anche Man Ray aveva fotografato, usati a scopo didattico nelle lezioni per gli studenti.

La tua definizione di Hiroshi Sugimoto “Uomo”…

Un pre post moderno modernista…

Questo è soprattutto l’Artista… E l’Uomo?

Un anacronistico pessimista!

MARIA LUISA RUNTI
© Riproduzione vietata

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hiroshi sugimoto e maria luisa runti

 

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