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RR ZZ: Opere che dialogano tra loro… alla Gluck50 di Milano

rrzz

dal 12/5/2015 al 19/9/2015

RR ZZ. Le opere di 4 artisti di nazionalita’ diverse hanno “iniziato a chiacchierare” l’una con l’altra, riflettendo allo stesso tempo, le conseguenze della svolta cibernetica all’interno del nostro vissuto collettivo.

a cura di Amy Lien ed Enzo Camacho.

Il titolo “RR ZZ ” richiama un’opera d’arte pubblica di uno degli artisti in mostra, attualmente in corso di realizzazione. Al momento della stesura di questo testo ci è stato chiesto di mantenere la riservatezza sulla sua componente verbale. A malapena l’ombra di un messaggio, questo titolo vuole rispecchiare la natura stessa del nostro tentativo di organizzare una mostra all’interno di un contesto instabile, fatto di interazioni codificate e accordi impliciti.

Questa mostra è il punto d’arrivo di un programma di residenza in cui a nostra volta abbiamo potuto invitare quattro artisti di nazionalità diverse a raggiungerci in una città per loro straniera (Milano), per periodi brevi e a volte sovrapposti di produzione individuale. L’assunto curatoriale da cui siamo partiti nel concepirla è che i segnali di comunicazione sarebbero stati spesso sdrucciolevoli, distorti, o vaporizzati.

Non abbiamo cercato una permeabilità totale. Il riferimento, qui, è al mercato globale dell’arte: un’arena apparentemente piatta, dove diverse soggettività finiscono per essere allineate sotto una qualche categoria pseudo-condivisa di valore artistico. La concettualizzazione romantica dello slittamento di significato, unita alla necessità politica di veicolare la voce degli esclusi, hanno dato forma ad una sorta di promessa a spirale. È una promessa mancata. Abbiamo voluto esasperare la capacità dell’opera d’arte di indicizzare la trama dello scambio, come avviene quando dei semplici dati vengono convertiti in materiale, un linguaggio in codice. Non volevamo appiattire la confusione.

Da quando siamo arrivati a Milano abbiamo testato ripetutamente queste idee preliminari, strizzandole come spugne nel lavandino o logorandole per coltivare la contaminazione. Come gli artisti che abbiamo ospitato, e come migliaia di altre persone faranno quest’anno, siamo in visita qui; e le sensibilità neo-barocche [1] del luogo assumono caratteri ancora più deliranti se decodificate attraverso i nostri organi stranieri, dei dispositivi in roaming. A dire il vero, la permeabilità totale non è stata mai un’opzione.

Le opere in mostra hanno in effetti iniziato a chiacchierare l’una con l’altra, riflettendo, allo stesso tempo, le conseguenze della svolta cibernetica [2] all’interno del nostro vissuto collettivo.

Le foto di lingue d’artista illuminate dal flash di Carissa Rodriguez provocano nello spettatore un senso di vertigine da TMI (Too Much Information, eccesso di informazioni). Dopo essere state analizzate dal suo agopuntore newyorkese, le cui diagnosi scarabocchiate sono a malapena decifrabili sulle lingue esposte, le immagini di Rodriguez sembrano voler scrutare questi organi del gusto come schermi da leggere e valutare, trasmettendo messaggi criptati direttamente dall’interno degli organismi/artisti selezionati.

Ken Okiishi ha concepito il format della residenza come un sistema caotico di produzione. Una serie di richieste e avvenimenti hanno servito da input a questo sistema, per un output che comprende: un fotomodello di biancheria intima che respira tenendo una teiera futurista in equilibrio sullo stomaco; l’acquisto di un appendiabiti di BBPR su 1stDibs.com che è servito da sostituto dell’artista, la cui presenza andava continuamente a incocciare la necessità di trovarsi altrove allo stesso momento; e una ballerina di tip-tap, improvvisamente arrivata da Roma a bussare alla nostra porta. Un’opera video è stata prodotta in questo groviglio di traduzioni.

L’opera testuale di Hassan Khan - una storia che descrive un uomo d’affari misantropo mentre scruta, alla finestra del suo lussuoso ufficio modernista, la caotica città ai suoi piedi, ritradotta di volta in volta nella lingua nazionale del paese in cui l’opera viene esposta - propone un infausto modello globalizzato che aderisce ad ogni contesto urbano, collocandosi al confine tra astrazione e specificità. È volutamente installata accanto a un nuovo lavoro che è in parte pura superficie e in parte oggetto. L’impegno di Khan contro il fascismo quotidiano sarà ulteriormente esplorato in una futura performance dell’artista a Milano, che verrà annunciata a breve.

Il tavolo-scultura a due livelli di Teng Chao-Ming imposta una narrazione di estraneità e dislocamento attivando il sistema binario di vista e tatto, nel tentativo di concettualizzare l’Altro attraverso questa scissione sensoriale. L’interfaccia tra diverse soggettività culturali è qui intrisa del nervosismo di una calibrazione travagliata.

Infine, i nostri prototipi di cyber-ceramica utilizzano un sistema open-source composto da microcontroller che traducono i dati sensoriali dello spazio espositivo in reazioni luminose programmate, travasando i dati digitali attraverso strati di materializzazione espressiva.

Inoltre, tre opere della serie The Counting of the Last Days of the Sigmund Freud Banknote di Rainer Ganahl sono incluse nella mostra. Anche se non prodotte nell’ambito della residenza, queste opere hanno costituito per noi una sorta di premessa alla mostra. Realizzate nel 2001, nel periodo che precede la sostituzione dello scellino austriaco con l’Euro, queste opere giustappongono i tassi di cambio giornalieri dello scellino alle trascrizioni dei sogni notturni dell’artista, tracciando i movimenti volatili della valuta attraverso l’imprevedibile ma eloquente linguaggio dell’inconscio.

[1] “The neo-Baroque theater of cruelty is the effect of semiodominance in the sphere of social production. The Italian experience during the last hundred years has been the main theater of this return of the Baroque spirit. Both Mussolini’s and Berlusconi’s performances are based on the theatrical exhibition of macho energy, but also on the ability to penetrate into the recesses of language, in the deep field of self-perception.” Franco “Bifo” Berardi, After the Future, AK Press, 2011, p. 101.

[2] “The cybernetic fold might be described as a fold between postmodernist and modernist ways of hypothesizing about the brain and mind. The prospect of virtually unlimited computational power gave a new appeal to concepts such as feedback, which had been instrumentally available in mechanical design for over a century but which, if understood as a continuing feature of many systems, including the biological, would have introduced a quite unassimilable level of complexity to descriptive or predictive calculations.” Eve Kosofsky Sedgwick e Adam Frank, Shame in the Cybernetic Fold: Reading Sylvan Tomkins, Critical Inquiry, Vol. 21, N. 2, Inverno 1995, p. 12.

English version

curated by Amy Lien e Enzo Camacho

Gluck50 is pleased to announce the group exhibition “RR ZZ” which will be accompanied by a series of programs (details to follow).

The title “RR ZZ” alludes to a yet-to-be realized public work by one of the artists in the exhibition, the textual component of which we were asked to keep confidential at the time of writing this. Transmitted from a locality where tacit agreements and codified interactions seem to undermine the legibility of law on a daily basis, this mere shadow of a message underscores the volatile grounds of this group show.

In conceiving an exhibition that would follow a particular residency situation in which we were able to invite four other artists from three different countries to come to this foreign city (Milan) for consecutive (sometimes overlapping) periods of individual production, one curatorial assumption we started with was that communication signals would at times slip, distort, or vaporize. We didn’t want total exchangeability. We’re referring to the global art trade here: a supposedly flat arena where different subjectivities fall into alignment under some quasi-shared rubric of artistic value. For us, the romantic conceptualization of communicative slippage and the political urge to amplify the noise of the excluded together formed a kind of strangled, helix-shaped premise. We wanted to push the artwork’s ability to index the texture of exchange, as it occurs through chains of conversion from data to material, language to code. We didn’t want to smooth over the mess.

These preliminary ideas have been repeatedly tested since arriving in Milan at the beginning of the year, wrung out like a kitchen sink sponge, worn down and cultivating micro-forests of strange organic matter. Like the artists for whom we have tried to act as hosts, and like thousands of others this year, we are visiting this place, and the local neo-Baroque [1] sensibilities seem even more delirious when decoded through our own foreign organs and devices on roaming. Actually, total exchangeability was never an available option.

The artworks in this exhibit have in effect begun to chatter at and across each other, as they reflect some broader reverberations of the cybernetic fold [2] within our collective lived realities. Carissa Rodriguez’s extreme-close-up shots of flash-lit artists’ tongues provoke the viewer with a queasy feeling of TMI. After undergoing analysis by her NY-based acupuncturist, whose diagnostic scrawls remain half legible over the stuck-out tongues, Rodriguez’s images scrutinize these biological taste-tools as quasi-screenal surfaces to be read and appraised, relaying cryptic messages from the insides of the selected artist-organisms. Ken Okiishi approached the residency format as a chaotic system for producing art. A series of requests and events were input into this system, and the output included an underwear model breathing with a futurist teapot on his stomach; the purchase of a BBPR coat rack from 1stDibs that served as an ersatz double of the artist whose presence in the residency kept snagging on having to be in other places at the same time; and a tap-dancer suddenly arriving at the front door of the residency from Rome. A video work was produced within this entanglement of translations. Hassan Khan’s iterative textual work, describing a misanthropic businessman peering through his modernist office window at the messy city of his belonging, and re-translated each time into the national language of the site of exhibition, proposes a sinister globalized template that adheres from one urban setting to the next, lodged between abstraction and specificity. It is deliberately placed next to a new work that is part pure surface and part object. Khan’s engagement with daily fascism will be further explored in an upcoming performance in Milan, soon to be announced. TENG Chao-Ming’s two-level table sculpture structures a loose narrative of alienation and displacement through a binary perceptual system of seeing and touching, conceptualizing the Other via this sensory split. Here the interface between different cultural subjectivities is imbued with a jittery sense of troubled calibration. Our own cyberceramic prototype works use an open-source microcontroller system to relay sensory data from the gallery into a series of programmed light responses, siphoning digitalized data through layers of expressive materialization.

Lastly, three examples taken from Rainer Ganahl’s The Counting of the Last Days of the Sigmund Freud Banknote series have been included in the exhibition. Though not produced as part of the residency, these works initiated a kind of premise for thinking through the show. Made in the year 2001, in the period leading up to the Schilling’s subsumption by the Euro, these works juxtapose the daily exchange rates of the soon to be obsolete Schilling with the artist’s nightly dream recordings, tracing the volatile movements of currency through the capricious but fully-loaded language of the subconscious.

[1] The neo-Baroque theater of cruelty is the effect of semiodominance in the sphere of social production. The Italian experience during the last hundred years has been the main theater of this return of the Baroque spirit. Both Mussolini’s and Berlusconi’s performances are based on the theatrical exhibition of macho energy, but also on the ability to penetrate into the recesses of language, in the deep field of self-perception.” Franco “Bifo” Berardi, After the Future, AK Press, 2011, p. 101.

[2] The cybernetic fold might be described as a fold between postmodernist and modernist ways of hypothesizing about the brain and mind. The prospect of virtually unlimited computational power gave a new appeal to concepts such as feedback, which had been instrumentally available in mechanical design for over a century but which, if understood as a continuing feature of many systems, including the biological, would have introduced a quite unassimilable level of complexity to descriptive or predictive calculations.” Eve Kosofsky Sedgwick and Adam Frank, Shame in the Cybernetic Fold: Reading Sylvan Tomkins, Critical Inquiry, Vol. 21, No. 2, Winter, 1995, p. 12

Inaugurazione 12 maggio ore 19

Gluck50
Via Cristoforo Gluck, 50
Milano
http://www.gluck50.com/

Orari: mar-sab 11-13 e 14-19

ingresso libero

 
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